Relazioni

La relazione: da Pink a Il piccolo principe

Funny how the heart can be deceiving

More than just a couple times

Why do we fall in love so easy

Even when it’s not right

 

Where there is desire

There is gonna be a flame

Where there is a flame

Someone’s bound to get burned

But just because it burns

Doesn’t mean you’re gonna die

You’ve gotta get up and try try try

 

Cara Pink, oggi proverò a rispondere alle parole della tua canzone Try.

Tu canti “È buffo come il cuore possa essere ingannato più di un paio di volte. Perché ci innamoriamo così facilmente anche quando non è giusto? Dove c’è il desiderio ci sarà una fiamma, dove c’è la fiamma qualcuno è destinato a bruciarsi, ma solo perché brucia non significa che morirà, devi alzarti e riprovarci

Il cuore, purtroppo, può essere ingannato perché è attivato dalle emozioni.

L'emozione è ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Da sempre è associata al battito del cuore ma questo non fa altro che pompare sangue nelle arterie. Le emozioni invece hanno sede nel sistema limbico, una struttura sottocorticale del cervello umano. Tale sistema è composto da più organi, tra cui l’Ippocampo, sede della memoria emotiva, che permette di ricordare le informazioni sensoriali relative agli eventi vissuti; l’amigdala, centro di gestione emozionale e in cui si origina la paura; l’Ipotalamo, i cui corpi mammillari ricevono impulsi dall’amigdala e dall’Ippocampo e le trasferiscono al Talamo; la Fornice, una fascia di fibre nervose che connette l’ippocampo con le altre regioni encefaliche, trasmettendo le informazioni emotive; e la corteccia limbica. Tutti questi organi collaborano tra loro elaborando input provenienti dall'ambiente, costruendone rappresentazioni mentali e organizzandone output. Per esempio l’informazione sensoriale, viene elaborata nel nucleo laterale dell’amigdala, trasmessa ai nuclei basali, integrata con input aggiuntivi e trasmessa al nucleo centrale; da qui raggiunge i centri nervosi del tronco encefalico, che si occupano di reattività emotiva. Inoltre le emozioni sono connesse al sistema Nervoso Autonomo, che riguarda tutte le reazioni fisiologiche indipendenti alla nostra volontà. Chi ha paura, ad esempio, può presentare un improvviso aumento della sudorazione, tremore muscolare e accelerazione del battito cardiaco.

Tornando quindi alle parole della cantante americana, siamo soliti restare delusi dall’amore. Questo perché l’amore, come la paura, attiva il sistema limbico che reagisce attivando un brivido. Come animali sociali però mentre davanti ad un serpente il brivido ci incute paura, davanti ad un altro essere umano si trasforma in curiosità, specialmente se oltre al brivido vi è attrazione. A quel punto blocchiamo consapevolmente la paura attivata dal sistema limbico e seguiamo l’istinto attrattivo. In altre parole ci proviamo.

Restiamo delusi, però, spesso perché ci innamoriamo dell'idea immaginaria di chi ci è di fronte e non della persona stessa. L’animale sociale desidera la relazione, e in particolare qualcuno da amare. Così attratti cadiamo in amore. Ma spesso quello che crediamo amore si trasforma in una relazione disfunzionale e cadiamo, metaforicamente, in un burrone.

La relazione infatti è un legame tra due o più persone in continuo cambiamento. Ma cos’è una relazione?

Per rispondere alla domanda lascerò parlare una mia grande amica: la volpe de il piccolo principe di Antoine De Saint Exupéry.

"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."

"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata".

"Che cosa vuol dire "addomesticare"?"

“Vuol dire “creare dei legami…”

Creare dei legami?”

“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, sei un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo”.

“Comincio a capire”, disse il piccolo principe. “C’e'un fiore … credo che mi abbia addomesticato…”

“E’ possibile”,

(…)

Ma la volpe ritornò alla sua idea: “La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri passi. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto la terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.

E poi, guarda! Vedi laggiù in fondo dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano. 

La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe : "Per favore... addomesticami", disse.

 

Fin qui notiamo che tutti desiderano creare legami, creare una relazione. Ma come si crea una relazione?  

 

"Che bisogna fare?" domandò il piccolo principe.

"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino..."

Il piccolo principe tornò l’indomani.

"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.

"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.

Quando saranno le quattro, comincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!

Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".

"Che cos'è un rito?" disse il piccolo principe.

"E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso ! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".

Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina:  "Ah!" disse la volpe, "...piangerò".

"La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."

"E’ vero", disse la volpe.

"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.

"E’ certo", disse la volpe.

"Ma allora che ci guadagni?"

"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano”.

 

La volpe ci dice che bisogna avere pazienza, costanza, e desiderio di esserci. E secondo la teoria triangolare dell’amore di Sternberg, la relazione, si crea sulla commistione di tre specifici fattori: intimità, il desiderio di vicinanza; passione, componente motivazionale base del romanticismo; impegno. La volpe ci insegna anche che le cose belle ad un certo punto finiscono, proprio come l’attrazione iniziale. Il brivido del pericolo che ci fa rischiare, improvvisamente svanisce lasciando spazio alla delusione.

Anche in questo caso ad agire è il nostro sistema emotivo che sa già cosa accadrà. Alla fase dell’attrazione e dell’innamoramento succederà la fase della delusione. Ma come dice Pink noi vogliamo tentare e andiamo avanti. 

"You’ve gotta get up and try try try..."

Così capita che ci leghiamo a persone che ci fanno stare male; immaginiamo come vorremmo che esse siano. Ci innamoriamo dell’immagine che diamo loro, che però risulta essere totalmente estranea all’immagine reale.

Una relazione funzionale è una relazione in continuo cambiamento. La sensazione è quella dell’incontro da film romantico, ci diamo a chi si dà a noi. Dobbiamo pensare ad una strada da percorrere fino a metà. Raggiunta la nostra metà incontreremo il partner che, iniziando il cammino dal lato opposto, sarà venuto incontro a noi.

Molto spesso ciò non accade e continuiamo a camminare, concentrandoci sulla forza del nostro amore, su ciò che noi possiamo dare senza chiedere nulla in cambio. Dall’altra parte, talvolta, c’è qualcuno che pensa “se mi ama mi seguirà, se mi ama farà come dico io, se mi ama cambierà per me”. Questo non è amore.

E mentre ci inganniamo intraprendendo il percorso, speriamo che prima o poi il partner camminerà verso noi. Ma lui va in direzione opposta, attendendo che le nostre forze si esauriscano.

La relazione affettiva e funzionale è in continuo cambiamento grazie al desiderio, all’impegno e alla costanza reciproca. I partner camminano l’uno verso l’altro, modificano sé stessi, il loro legame ed incontrandosi a metà strada.

Ma se mentre ti avvicini, il partner si allontana, girati e scappa via più che puoi. Non cadere nel burrone del legame disfunzionale, sarà dura risalire. Ma se cadi allora chiedi aiuto e non temere, non sei sol* perché chi te ne parla molto spesso è proprio chi ne ha fatto esperienza.

FG


Trappole relazionali

La collusione, questa sconosciuta!

Dal latino CUM+LUDERE, in particolare LUDO LUDIS LUSI LUSUM LUDERE= giocare. Da qui CUM LUDERE= scherzare con o addirittura prendersela con.

 

È una tecnica antichissima già utilizzata molto nella società romana. Per esempio i genitori colludevano per premiare o punire i loro figli, come si evince dal testo Familia Romana[1] ma anche i figli colludevano, per esempio quando i fratellini più grandi schernivano la sorellina piccola. Colludere infatti significa unirsi, collegarsi, mettersi in relazione con. In italiano colludere è una parola che può essere utilizzata in vari ambiti, come in quello legale, sociale o psicologico.

Il dizionario Olivetti (latino –italiano) cita  collūdo, collūdis, collusi, collusum, collūdĕre. Verbo intransitivo III coniugazione., significato: scherzare o giocare con (cum + dativo); avere un accordo fraudolento con (cum + ablativo); essere in collusione con.

Mentre quello della Treccani cita collùdere v. intr. [dal lat. colludĕre, comp. di con- e ludĕre «giocare», propr. «giocare insieme» e Accordarsi segretamente con altri ai danni di un terzo (v. collusione): c. con l’avversario.

La collusione è quindi un accordo fraudolento stipulato tra varie parti, al fine di ottenere reciproci vantaggi. Il termine viene utilizzato in diritto per indicare un'intesa che due o più persone raggiungono con il fine di ottenere un risultato illecito. Infatti la collusione comporta il tradimento della fiducia altrui. Si parla di collusione tacita, spiegata dalla teoria dei giochi[2] come accordo tra imprese oligopolistiche che si ottiene giocando ripetutamente lo stesso gioco.


In psicologia, invece, Per collusione s’intende la simbolizzazione affettiva del contesto, condivisa emozionalmente da chi a quel contesto partecipa[3].

Definizione alquanto difficile per uno studente che si trova improvvisamente catapultato nell’ottica relazionale. Personalmente ho avuto non poche difficoltà, ed ho notato che molti come me hanno riscontrato problemi. Laureata e quasi plasmata in Psicologia Cognitiva, è stato molto complicato per me comprendere le suddette parole. Frequentando poi una scuola di specializzazione sistemico-relazionale, ho capito subito che se non mi fossi buttata su testi riguardanti il modello sistemico avrei avuto moltissimi problemi ad entrare in questa nuova ottica. Accerchiata quindi dalla psicologia sistemica, per via della specializzazione e anche per il mio percorso psicoterapeutico personale sono riuscita, in poco tempo ad estrapolare la mia persona da quell’entità impregnata di cognitivismo e immergermi nel nuovo modello. E capisco quanto possa essere difficile per ragazzi più giovani di me, magari senza alcuna esperienza, comprenderne a pieno il significato. Parole come simbolizzazione affettiva suonavano completamente estranee mentre parole come contesto, sembravano facilmente riconoscibili.

Inizialmente, quindi ho provato a focalizzarmi su queste due parole chiave: simbolizzazione affettiva e contesto. La prima si riferisce al senso emozionale che diamo agli oggetti con cui entriamo in relazione[4], mentre il contesto non è solo l’ambiente in cui ci troviamo ma qualsiasi oggetto che usufruiamo per entrare in relazione[5] e che ci accomuna ad un altro.

Il testo di Renzo Carli e Rosa Maria Paniccia continua con un’altra definizione: la dinamica collusiva fonda la teoria del rapporto tra individui e contesto.

Ecco allora che qualcosa iniziò a schiarirsi nella mia mente, ma ancora sentivo di non aver appieno capito il significato. La domanda che mi ponevo era “di che contesto parliamo?” 

Il contesto, secondo l’enciclopedia Treccani è definito in generale come l’insieme di circostanze in cui si verifica un atto comunicativo e comprende la situazione fisica spaziale e temporale in cui avviene l’atto comunicativo, la situazione socio-culturale entro la quale esso si definisce (status e ruolo degli interlocutori, formalità o informalità della comunicazione, ecc.), la situazione cognitiva degli interlocutori (le loro conoscenze circa l’argomento della comunicazione e altre situazioni comunicative pertinenti per quella in corso, l’immagine che ognuno ha dell’altro e delle sue conoscenze, ecc.), così come la loro situazione psico-affettiva.

Il contesto non è quindi solo un luogo fisico come siamo abituati a pensare: non è la scuola, o il bar o lo studio medico, ma un luogo astratto che però ci avvicina a un’altra persona che noi sentiamo (To feel = sentire, percepire, provare) come nostro simile. In effetti avvicinarci a questa definizione può sembrare complicato.

Potremmo pensare però alla nota poesia di John Donne, Nessun uomo è un’isola.

Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.

La visione di un'isola in mezzo al mare, è la metafora utilizzata dal poeta per descrivere la sensazione di solitudine e distacco che talvolta proviamo nelle difficoltà. In realtà il titolo ci fa capire che non siamo soli, ma siamo (esistiamo) in relazione a qualcun altro. E questo ci fa avvicinare di gran lunga al concetto di collusione. Infatti se entriamo nella logica secondo cui noi siamo/esistiamo in relazione a qualcun altro, notiamo come, anche se focalizzati su noi stessi, c’è sempre qualcuno attorno a noi che ci incuriosisce e con cui riusciamo talvolta a relazionarci. Può essere un’amica, una madre, un padre, perfino uno sconosciuto che però inconsapevolmente simbolizziamo affettivamente. Spesso proviamo un’affinità con una persona, qualcosa in comune che non per forza deve essere un gusto simile o un pensiero critico circa qualcosa, semplicemente una sensazione piacevole che non riusciamo a sentire (feel) con tutti.

A questo punto mi allontano dal testo di Carli R. e propongo una serie di esempi di vita quotidiana per comprende meglio il termine Collusione.

 

Siamo al bar con un’amica, e ci stiamo sfogando relativamente ai problemi con il nostro partner, usiamo dapprima esempi personali “perché lui ha fatto, ha detto, ha pensato…” e poi stereotipiamo la situazione “perché gli uomini sono…fanno…dicono…pensano…” A questo punto la nostra amica ha due scelte: Colludere o no. Nel primo caso annuirà ci darà ragione, perché in realtà questa è la scelta più semplice, non necessita di pensiero critico, sostiene la nostra ipotesi e fa sì quindi che lei non debba pensare a una risposta costruttiva e che noi ci sentiamo capite e accettate. Ecco come la collusione sembra giovare a entrambi le parti. Ma quasi mai è una scelta sana, a lungo andare, un’amica che annuisce non continuerà a piacerci, cerchiamo piuttosto qualcuno che ci apra gli occhi, che ci risponda a tono, d’altronde sentiremo noi stessi che non è giusto “fare di tutta l’erba un fascio” e continueremo a sperare ci siano uomini migliori di quello incontrato. Colludere sempre, non è la scelta più funzionale. Non è sano colludere in ogni momento. Talvolta in una relazione seppur condividendo le simbolizzazioni affettive, è possibile non colludere. 

La dinamica collusiva è una relazione per nulla sana, prevede una sorta di manipolazione da parte di una delle due parti. L’altro cerca di stabilire una connessione per raggiungere uno scopo, egli vede te come suo simile e cerca di trascinarti nella trappola. Non colludere significa distanziarsi dall’altro e rimanere in una relazione autentica, in cui l’altro non raggiunge il proprio scopo e l’uno può relazionarsi all’altro istaurando una dinamica relazionale sana.

Un altro esempio: in famiglia, nostro fratello corre a lamentarsi dai nostri genitori dicendo che noi abbiamo rotto un vaso, che sia vero o no, i nostri genitori hanno due scelte: colludere con nostro fratello, dare per scontato che lui abbia ragione e punirci o venire a chiedere la nostra verità (o campana) e capire chi sta mentendo e chi no.

Ancora un esempio, ripreso dal testo inizialmente citato “Familia Romana”[6] per mostrare quanto questo termine abbia origini antiche. Tre fratelli, il più piccolo canta, il medio gli chiede di tacere, il piccolo continua, il medio picchia il piccolo. Arriva il grande e vede il medio che picchia il piccolo e gli dice di smetterla, il medio continua e il grande picchia il medio. A quel punto il piccolo chiama la mamma. Lei accorre e chiede cosa sia successo a tutti e tre. La mamma è saggia, sceglie di non colludere con uno di loro, nè di attenersi a ciò che vede. La mamma chiede ad ognuno la propria versione dei fatti, capendo che ognuno ha sbagliato decide di punire tutti e tre, chiama il marito, il quale invece collude con la moglie direttamente, senza chiedere ulteriori spiegazioni e punisce i pargoli. Qui si può comprendere bene il termine da noi spiegato.

Colludere quindi è un accordo implicito o esplicito, consapevole o inconsapevole tra due parti a scapito di una terza parte. Tutto ciò riportato alla realtà psicologica, comporta non pochi problemi.

Si parla di Dinamica collusiva, intendendo quel tipo di relazione che “si può creare tra professionista e cliente, a causa della quale tra i due si crea un’alleanza inconscia in cui si accetta la simbolizzazione affettiva che il paziente propone della relazione con lo psicologo. Questa ‘alleanza’ terapeutica finisce con il cristallizzare la situazione e impedire ogni forma di cambiamento psicologico.”[7]

Spesso infatti accade che due genitori vadano dallo psicologo per “aiutare” il figlio a stare meglio, talvolta la richiesta è proprio quella di “aggiustare” il figlio, come se il ragazzo fosse un tubo e lo psicologo un idraulico. Che avviene dopo la richiesta? Dove sarà qui la dinamica collusiva? Lo psicologo ha due scelte, le stesse presenti negli esempi precedenti: colludere o no. In questo caso colludere significa accettare la richiesta dei genitori e “aggiustare” il figlio. A questo punto lo psicologo, cade nel tranello, cade nella dinamica, perché invece di capire il motivo per cui i due genitori hanno fatto la suddetta richiesta, si fida inconsciamente della “diagnosi” dei due adulti e corre a occuparsi del giovane. L’alternativa sarebbe fermarsi a pensare al motivo della richiesta, e capire attraverso un dialogo con i genitori, chiedendo magari loro di chiarificare bene il termine “aiutare” o “aggiustare” e poi successivamente passare all’azione, o con una terapia di famiglia o di coppia per capire bene il problema dove si pone.

 

Nella mia esperienza professionale, posso dire che pur non conoscendo ancora tale dinamica, notai tempo addietro alcune strane richieste implicite, cercai talvolta di comprendere al meglio la situazione prima di agire. Un giorno, per esempio, una signora mi chiese di intraprendere una terapia di coppia con il marito, io chiesi dove fosse il marito e cosa ne pensasse e lei mi disse che lui non era d’accordo. Secondo la signora io avrei forse dovuto convincere il marito a intraprendere la terapia?

Entrata nella logica della dinamica collusiva, capii che era proprio quello che la signora mi aveva chiesto. Tornando con il pensiero a quel giorno mi accorgo che la donna tentò di colludere con me, vedendomi forse a lei affine per sesso o per età, spiegandomi del loro stupido litigio, che in realtà non era poi così stupido. Disse che mi aveva visto ad un bar parlare con un’amica (contesto decisamente diverso) e aveva ascoltato i nostri discorsi, scoperto che ero una psicologa era venuta da me. Tutti abbiamo i nostri problemi di coppia ma da questo a chiedere ad una psicologa di colludere e “aggiustare” o “convincere” il marito ce ne vuole.

Un’altra occasione in cui mi sono imbattuta in una possibile dinamica collusiva, nella vita quotidiana, e vi dirò ci stavo cascando in pieno, fu qualche tempo fa quando la mamma di un’amica, cui sono da molti anni legata, mi stava raccontando di come sua figlia desiderasse partire prima ancora di terminare i suoi studi, mi disse “ma non ti sembra assurda la sua partenza, tra pochi mesi si deve laureare e deve finire gli esami, non sarebbe meglio attendere e fare un viaggio dopo la laurea?” io chiaramente annuii, la mia amica aveva sempre avuto la testa sulle spalle e questa improvvisa decisione mi aveva effettivamente lasciato senza parole. Sua madre mi aveva agganciato, se così si può dire, e stavo per cadere nella trappola anche perché continuando a parlare mi disse “potresti dirle tu che la sua decisione è assurda e convincerla a restare!” in quel momento mi si accese una lampadina: mi rividi nello studio medico di qualche esempio fa, i due genitori avevano chiesto allo psicologo di aggiustare il figlio, la mamma mi aveva detto di convincere la figlia. Lo psicologo aveva colluso con i genitori interessandosi al ragazzino, prima ancora di capire il motivo della richiesta, ed io ero lì ad annuire davanti alla mamma e già pensavo a cosa avrei potuto dire alla mia amica per convincerla a…. ma aspetta io non devo convincere nessuno, questa è una situazione che stesso la mamma deve prendere in mano o lasciare che la figlia decida per sé, io cosa c’entro? Io non colludo. Io non colludo. Mi ripetei e dissi “uscirò con lei ma non la convincerò, ci sarà qualche ragione per aver deciso così, non sarebbe più giusto le chiedessi tu qualche spiegazione?”.

Confrontandomi con un’amica ho notato come la dinamica collusiva sia un argomento meraviglioso e come vi siano tante altre trappole nella relazione tra psicologo e paziente, ma da brave psicologhe dobbiamo conoscerle, comprenderle e accettarle, per il bene nostro, ma soprattutto per il bene del paziente/cliente che viene a chiedere il nostro aiuto.

FG


[1] Lingua Latina, Orberg H. H., Domus latina, 1991

[2] Microeconomia per manager, D. Kreps, Egea, 2005

[3] Analisi della domanda, Carli R., Paniccia R.M., Il Mulino, 2003

[4] ibidem

[5] ibidem

[6] Lingua Latina, Orberg H. H., Domus latina, 1991

[7] https://www.crescita-personale.it/articoli/crescita-personale/psicologia/analisi-della-domanda.html

Il pilastro, le fondamenta di una casa

Che si dica Colonna o Pilastro, il risultato non cambia. Secondo il dizionario della Treccani:

Colonna= elemento verticale atto a resistere al peso di elementi sovrastanti e adoperato anche in funzione decorativa

Pilastro = elemento strutturale utilizzato con funzione di sostegno, originariamente in marmo. 

In senso figurato, entrambi assumono la definizione di:

Persona che, in un insieme, una struttura, ecc., è l'elemento basilare, fondamentale.

Il dizionario ci pone alcuni esempi: 


Ma che significa essere il pilastro di una famiglia?

La colonna portante di una famiglia? 

Vi siete mai trovati a dover modificare una casa, la vostra, per esempio?

Ecco cosa accade:

Un giorno decidete di fare dei lavori, buttare giù pareti, cambiare la posizione di alcune porte e creare nuove finestre (se non siete in un condominio, dove tutto diviene irrimediabilmente impossibile :-) ma questa è un'altra storia).

Telefonate all'architetto e alla ditta di edilizia. Mostrate le vostre idee di ristrutturazione e chiedete un preventivo. Se c'è congruenza tra richiesta e possibilità economica, i lavori cominciano. E poi? 

E poi avviene che lì, proprio lì, dove volevate abbattere quel muro per mettere una porta e collegare la camera da letto al bagno, c'è un dannato pilastro che è pronto a rovinarvi il disegno che già mentalmente avevate costruito e pensate "mannaggia, quel pilastro, se non fosse lì, se fosse da un'altra parte...".

In quel momento non riconoscete il valore al pilastro, lo rifiutate, lo rigettate, lo umiliate solo perché va contro le vostre idee...

Cosa potete fare quindi se non modificare il disegno? Successivamente vi accorgete che dove volevate incastrare i vetrocementi per illuminare lo sgabuzzino c'è un nuovo pilastro, stavolta orizzontale e il capocantiere vi dice:

"signurì, amm'fa cchiù sotto stti vetrin, c'è stà o purtant" (per chi non lo sapesse sono Napoletana) 

Ricominciate quindi a maledire l'altro pilastro, umiliandolo e non riconoscendone il reale suo valore.

Vi siete mai chiesti perché i pilastri sono lì a rovinare sempre i nostri piani? Il pilastro orizzontale blocca i lavori e il vetro cemento troppo in basso, toglie la possibilità di utilizzare la parete per appendere un quadro o una libreria. Dove li mettete tutti i libri e tutti quei puzzle di tremila pezzi? E poi la luce non raggiunge lo sgabuzzino. E di nuovo dovete prendere carta e penna e cambiare il disegno, imprecando magari contro quella povera colonna.

Finiti i lavori, non senza ulteriori problemi, iniziate a vivere la vita nella vostra nuova casa, arrabbiandovi talvolta perché volevate appendere un piccolo quadretto al muro portante ma la sua composizione dura e pesante ha incrinato la punta del vostro chiodo.

E poi d'improvviso, un giorno, un scossa di terremoto, forte molto forte. La paura cresce in voi, i quadri cadono a terra, i vetri si rompono e i puzzle si sgretolano, le pareti crollano, i mobili traballano cadendo talvolta sul pavimento. E cosa resta rigorosamente in piedi?

Quella dannata colonna contro cui avete detto l'inverosimile! Quell'inutile pilastro che aveva intossicato la vostra anima durante tutto il periodo dei lavori e anche dopo. E' proprio quel pilastro maledetto, a salvarvi la vita. 

Che responsabilità e che importanza! Il peso che assume non è per il materiale di cui è fatto, ma per ciò che sopporta durante tutta la vita.


I'm the strong one, I'm not nervous

I'm as tough as the crust of the earth is

I move mountains, I move churches

And I glow 'cause I know what my worth is


I don't ask how hard the work is

Got a rough indestructible surface

Diamonds and platinum, I find 'em, I flatten 'em

I take what I'm handed, I break what's demanding

But

Il pilastro è ciò che resta in piedi quando la casa crolla. Ma cosa avviene quando la casa è una famiglia e quel pilastro una persona? La stessa identica cosa: Per ogni evento che farà crollare una famiglia, ci sarà sempre il pilastro che resterà in piedi a sorreggere. 


Under the surface

I feel berserk as a tightrope walker in a three-ring circus 

Che significa essere pilastro e chi è il pilastro?

Di norma in una famiglia vi sono due coniugi e alcuni figli, un numero che va da uno a quattro e più. Vi sono famiglie molto numerose. In ognuna di esse ogni figlio assume un compito. Se guardate il nuovo film della Disney Encanto vi accorgerete che ogni nucleo familiare prevede tre figli. Noi qui cercheremo di semplificare a due. Anche se quando si parla di famiglia e relazioni familiare, nulla è mai semplice. 

Fingiamo che la nostra famiglia sia composta di quattro persone: due coniugi e due figli (siano essi maschi o femmine, poco importa). Al suo interno quindi avremo i due genitori e i due figli. E questi sono i ruoli che ognuno di loro dovrebbe assumere. Che avviene in realtà?

All'apparenza, i genitori svolgono al meglio delle potenzialità (o così dovrebbe essere) il loro ruolo, mentre i figli sviluppano diverse capacità, siano esse innate, acquisite, apprese in un secondo momento, o inculcate. Queste ultime sono le peggiori, quelle che vi perseguiteranno per tutta la vita o fino a quando non le riconoscerete diventando consapevoli di voi stessi, magari guidati da qualcuno (psicologo/psicoterapeuta) e riuscendo anche talvolta a reagire al meglio.

Tornando alla famiglia di cui sopra, noteremo che uno dei due figli assumerà il ruolo del fragile, delicato, sensibile, debole, come un cristallo sottilissimo incapace di muoversi circondato di spine appuntite di acciaio inossidabile e un altro assumerà il ruolo della colonna portante, specialmente se circondato da persone che gli/le diranno frasi come:

e l'ansia del giovane sale...

Pressure like a grip, grip, grip, and it won't let go, whoa

Pressure like a tick, tick, tick 'til it's ready to blow, whoa

Give it to your sister, your sister's stronger

See if she can hang on a little longer

Who am I if I can't carry it all?

If I falter 

Il pilastro si sente dapprima importantissimo, fortissimo, l'unico capace di sorreggere tutta la sua famiglia; ma quando le vicissitudini della vita gli daranno del filo da torcere (perché capita sempre), il pilastro si sentirà smarrito, come e forse di più di tutto il resto della famiglia.

Ognuno di noi in qualità di essere umano può vivere un momento di smarrimento affettivo, emotivo o semplicemente può sentirsi stanco. In quel momento il pilastro non verrà riconosciuto: proprio come quello che non poteva essere abbattuto e non vi dava la possibilità di collegare la camera da letto con il bagno. 

Il pilastro sorregge, ma blocca anche l'equilibrio familiare, vivendo il suo giustissimo momento di smarrimento. E in quell'occasione dovrebbe essergli riconosciuta l'umanità che solitamente gli viene celata, rincarando magari la dose di pressione con cui convive quotidianamente. Sempre pronto a mettersi da parte per l'altrui bene. Ecco il pilastro.

Di che pressione parlo? 

Di quella che come un macigno, come una palla da bowling, come un pugno pesa nello stomaco, che cerchiamo inevitabilmente di far esplodere magari mangiando molto o cerchiamo di ridurre evitando il consumo di cibo. Ma che, invece resta sempre lì, nonostante i nostri tentativi.

Il macigno è caratterizzato da accumulo di ansia che piano piano si trasforma in rabbia repressa, in insoddisfazione, perché chi porta quel peso, quel macigno non è libero di vivere la propria vita al pieno delle proprie possibilità. 

Avete idea della pressione che vivete o che fate vivere al vostro pilastro familiare quotidianamente?

Il pilastro non può fallire, se crolla, crolla tutto ciò che lo circonda. Il peso interiore, ormai ha preso il sopravvento e lo bilancia, non lo sposta. 

Lo riconosci il peso di cui parlo? Quello che rode il fegato e che non va mai via? 

Capita a tutti di sentirsi smarriti davanti ad un evento critico o traumatico, anche nella colonna è necessario riconoscere l'umanità e chiederle di esternare le emozioni. In taluni momenti bisognerebbe sollevarla dall'incarico di sorreggere il resto della famiglia o quanto meno alleggerirle il carico. 

Un terremoto all'apparenza distrugge tutta la casa lasciando in piedi solo la colonna portante. Ma anche questa è scalfita, forte ma esteriormente piena di crepe

Chi assume questo ruolo deve avere il diritto di sentirsi smarrito, ha il diritto di crollare, con i suoi tempi, ma se non crolla subito non significa che sia più forte e deve sorreggere tutta la casa, o tutta la famiglia. Significa solo che reagisce in modo diverso.

 

Under the surface

I feel berserk as a tightrope walker in a three-ring circus

Under the surface

Was Hercules ever like, "Yo, I don't wanna fight Cerberus?"

Under the surface

I'm pretty sure I'm worthless if I can't be of service


A flaw or a crack

The straw in the stack

That breaks the camel's back

What breaks the camel's back, it's


Pressure, like a drip, drip, drip that'll never stop, whoa

Pressure that'll tip, tip, tip 'till you just go pop, whoa

Give it to your sister, your sister's older

Give her all the heavy things we can't shoulder 

Who am I if I can't run with the ball? If I fall to.


Chi è il pilastro nella tua casa? Ti senti Pilastro? Hai riconosciuto il bagaglio che devi portare ogni giorno e che non ti viene riconosciuto

Senti il bisogno di parlarne con qualcuno?

Vuoi comprendere a pieno il pilastro che è in te?

Vuoi riconoscere le tue emozioni e trovare in esse un'opportunità per migliorare il tuo approccio nella vita?

Vuoi conoscere i tuoi validissimi meccanismi di difesa e trasformarli in una positiva forza che ti aiuta nel quotidiano, invece di subirli come ostacoli sconosciuti e insormontabili?

Scrivimi fa.grassi@outlook.it

What else can i do? (Encanto)

Come è difficile essere se stessi in un mondo che ci vuole tutti uguali. Ci vien chiesto di assumere una responsabilità, occuparci di qualcosa e pensare unicamente a quella. Ci viene imposta una realtà. (I make perfect, practised poses So much hides behind my smile) 

Veniamo al mondo e, prima di avere la capacità di intendere e di volere, già ci inculcano regole, dogmi, ci danno un ruolo e ci vietano di ribellarci. E, quando a una certa età, sentiamo di dover seguire il nostro istinto e di non accettare più l'imposizione, veniamo etichettati come "ribelli", "deludenti" "adolescenti" "pericolosi" "casinari" e chi più ne ha più ne metta. Improvvisamente la luce negli occhi dei nostri cari cambia: all'inizio quando eravamo "buoni" per noi vi erano sorrisi pieni di amore, aspettative sempre maggiori, certezze e speranze di un futuro meraviglioso; poi improvvisamente incomprensione, sguardi di pietà, colmi di paura e di perplessità. Proprio come lo sguardo di Mirabel nell'immagine. 

(What could I do if I just grew what I was feeling in the moment?)

Mentre è proprio in quel momento, nel momento della ribellione, che noi ci sentiamo meglio perché, liberi da tutte le regole imposteci, iniziamo a camminare nella direzione che sentiamo nostra e ci sorprende qualsiasi cosa sia essa liscia o insidiosa.

(Somenthing sharp, something new)

L'avventura ci chiama, ci dice di lasciare tutto ciò che è passato e cercare noi stessi. (You've changed minds, The way is clearer 'cause you're here)

L'adolescenza, non è altro che la capacità di intendere e volere che prende il sopravvento su quanto socialmente inculcato. E' quel processo che ci conduce alla maturità e alla creazione del vero sè. (It's not symmetrical or perfect but it's beautiful and it's mine!)

E' un percorso necessario per il giovane ribellarsi. L'adulto non dovrebbe reprimerlo né ricordargli quanto stia violando le proprie aspettative, ma guidarlo nell'espressione di se stesso, proteggendolo dal pericolo ma lasciandolo libero di pensare con la propria testa. (I'm so sick of pretty I want something true)

Per l'adulto, il periodo adolescenziale è un modo per reinventarsi come genitore, tutore, educatore. Anche l'adulto deve lasciar andare le proprie certezze e ricominciare da zero per aprire quella nuova porta e seguire il giovane nella ricerca di sè stesso. (What can you do when you know who you wanna be isn't perfect? But I'll still be okay)


Seize the moment, keep going!

Show them what you can do!

FG

Una porta di accesso/Relazioni tossiche

Può capitare talvolta di ricevere in studio dei giovani adolescenti i cui, oltre ad affrontare il periodo più complicato della loro esistenza, si ritrovano a vivere le incomprensioni e le liti della coppia genitoriale. Porto in breve l’esempio di una ragazzina che venne da me un po’ di tempo fa. Non è importante conoscerne il nome o i dettagli, quanto raccontare brevemente come sia nata un’apparente relazione professionale tra noi.

Il primo giorno bussò alla porta e si sedette a braccia conserte, gambe accavallate, con viso scuro e imbronciato. Mi fece simpatia da subito, era chiaro che non fosse venuta spontaneamente. Rimasi in silenzio a guardare i suoi occhi che provavano in ogni modo a non incrociare i miei. Sorrisi e mi presentai con il mio nome. Fece una smorfia e poi sospirando mi svelò il suo. Provai a chiedere l’età, già la conoscevo ed infatti mi rispose: “conosce la mia età, sa tutto di me, cosa deve dirmi?” una risposta che l’adolescente medio dà spesso, abituato a sentir parlare di sé in terza persona.

“non so nulla di te! Non mi hai detto nulla!” fu lì che riuscii ad ricevere un primo sguardo, ma fu proprio un lampo. Poi gli occhi tornarono a guardare altrove. D’un tratto si posarono su un mazzo di carte da gioco. Me ne accorsi e commentai: “sai giocare?” annuì. “a cosa?” “a scopa!” e con chi giochi? “con gli amici durante…” si fermò, avrebbe voluto dire durante le lezioni di matematica. Così mi era stato detto dalla sua preside, interrompeva le lezioni, distraeva i compagni e giocava a carte.

“Giochi a scopa con gli amici? E li contate i punti?” annuì. “quindi fate matematica nell’ora di matematica?” le sorrisi. Mi scrutò. Avevo la sua attenzione. Un’altra cosa che mi avevano detto a scuola era la sua passione per l’oroscopo e per la predizione del futuro. Cose che in gioventù avevano appassionato anche me. Così provai ad argomentare. “sai quali carte piacevano a me da giovane? I tarocchi! Li conosci? Ti piacciono?”

“Te l’hanno detto a scuola?” disse. Furba non le sfuggiva nulla. “no- mentii- quindi ti piacciono. Li sai leggere?” scosse la testa. “vuoi imparare?” poi guardò l’ora come se volesse dire che non c’era più tempo.

“allora ti aspetto la settimana prossima!” non rispose verbalmente, alzò le spalle e andò via.

Non ebbi l’occasione di insegnarle a leggere i tarocchi le volte successive, tornava ma era sempre nervosa e più era nervosa più era chiusa e più si chiudeva più infastidiva in classe e più infastidiva più arrivavano lamentele. Chiesi di incontrare la famiglia. All’appuntamento arrivarono i genitori in momenti diversi della seduta, non fu difficile per me intuire che la situazione in casa era complicata, ma attesi comunque che me ne parlasse la ragazza. Un giorno tornò da me e prese i tarocchi porgendomeli: “voglio imparare come leggere l’affinità di coppia!”

Rimasi dapprima colpita, poi presi le carte e iniziai sorridendo a mischiarle. “vuoi dirmi di chi si tratta?” non rispose. “Dovrai pur darmi dei nomi!” no. Così iniziai a poggiare alcune carte sul tavolo con viso concentrato ed una volta poggiate le carte coperte sul tavolo le dissi di mischiare pensando alle due persone. Poi le scoprii e iniziai ad annuire silenziosamente mentre vedevo comparire la curiosità nei suoi occhi.

“che dicono? Chi sono i due? Che succede?”

“ci sono più persone!”- “lo sapevo!- disse- è tutta colpa sua, ha un altro! Sta distruggendo tutto per un altro che presto filerà via”- “di chi parliamo?” – “di mamma!”

Ecco cosa succede, spesso l’adolescente ascolta parole “gentilmente” scambiate tra gli adulti in un momento turbolento o durante una vera e propria lite e quando chiede spiegazioni gli viene detto che è piccolo e quindi mandato via. Ora l’adulto spesso e volentieri pensa che “sei piccolo, non hai capito nulla, vai in camera!” siano le parole magiche per far dimenticare l’accaduto al ragazzo. Ma purtroppo sono proprio quelle parole a mettere in marcia tutta una serie di scenari plausibili o meno che porteranno il giovane alla confusione, al nervosismo, al chiudersi in sé e ad attirare l’attenzione in modi più o meno singolari quali giocare a carte durante una lezione di matematica.

A questo punto la ragazzina si sciolse e mi raccontò tutto. “la mamma ha un altro, papà è molto deluso dal suo comportamento, sono cose inaudite!” “mmm- guardai le carte consapevole della terapia che stavo contemporaneamente svolgendo con la coppia -non è quello che vedo. Ci sono persone, ma sono personcine, vedo amore, fatica e abbandono…” continuai a leggere le carte tranquillizzandola e spiegando un po’ come va il mondo della coppia.

La coppia

… a un certo punto della relazione, quando questa dura da parecchio, i due attori pensano di conoscersi così bene da non doversi più preoccupare l’uno dell’altro ed a volte succede che iniziano a darsi per scontato. A questo punto la fiaccola d’amore tenuta accesa durante il corteggiamento, l’innamoramento, la buona riuscita dell’unione familiare, l’arrivo dei figli e la collaborazione affettiva, viene meno, quando uno dei due o tutti e due si sentono parte di una fiacca routine. Bisognerebbe imparare a non darsi mai per scontato e ad essere sempre presenti in famiglia. Se la mamma è distratta, possono esserci tanti motivi, non per forza un uomo. Potrebbe essere stress lavorativo, potrebbe essere insoddisfazione, potrebbe aver litigato con un’amica, potrebbe aver ricevuto uno scaccione dall’amato figlio, o potrebbe essere stanca della propria routine ed aver chiesto, senza riceverlo, un aiuto maggiore in casa ed un supporto al marito. Supporto che magari un marito soddisfatto della propria vita, che non ha mai dovuto rinunciare a nulla che ha sempre continuato ad essere accettato per com’è, non si sente pronto a dare, poiché non è mai realmente cresciuto.

La vita è fatta di compromessi” si dice, è vero. Una coppia ha il compito di incontrarsi a metà strada, mentre la mamma di Ivana (nome chiaramente inventato) aveva, alla sua nascita un lavoro bellissimo, quando la figlia nacque vi dovette rinunciare. Con tanta fatica la mamma mise su casa, crebbe una bambina e ritrovò un lavoro degno di lei. Ma un giorno dovette rinunciarvi per altri motivi familiari.  La mamma di Ivana non aveva mai smesso di provarci, cercava e ricercava un lavoro che le desse soddisfazione, un lavoro degno dei suoi studi e delle sue competenze, ma ad una certa età determinati lavori sono offlimits. Ad oggi vive insieme ad un marito soddisfatto del proprio lavoro in una casa difficile da gestire ed insoddisfatta dei suoi insuccessi riflettendo sui suoi tanti sacrifici per i quali non ha mai ricevuto nemmeno un ringraziamento. Guarda i successi della sua famiglia, ottenuti solo grazie ai suoi sacrifici. Sembra la coppia avere età diverse, poiché mentre la soddisfazione porta gioia, l’insoddisfazione porta abbattimento. La mamma di Ivana, smunta e senza più forze resta in una famiglia di cui non si sente più parte, ma per il bene comune continua a sacrificarsi. Talvolta vorrebbe scappare e allora cosa fa? Scrive. La mamma di Ivana ha iniziato a scrivere racconti, immagina con la mente mondi lontani in cui ricominciare da zero, con una famiglia che la sostiene, con un compagno che l’ama e che altro non è che il ricordo del suo amore giovanile. Qui, in questo mondo magico, il marito la sostiene, è un abile uomo che raggiunge la sua donna a metà strada e la rende orgogliosa del suo supporto nella buona e nella cattiva sorte, che l’aiuta in casa, in famiglia e che la sprona a trovare un lavoro degno delle sue ottime competenze, così come dovrebbe fare un buon marito.

Autismo: Amazing world!

Come si evince dall'immagine da me scelta, incontrare una mente autistica non è semplice. Ci formiamo su testi scritti da menti neurotipiche per incontrare e interagire con una mente neurodivergente.

Purtroppo ancora nel 2022, sono molti i testi che riportano frasi come "il bambino CON autismo nasce CON DEFICIT più o meno gravi nella predisposizione NORMALMENTE INNATA  a entrare in contatto con gli altri". 

Qual è il problema? Ce ne fosse solo uno!

A cominciare dalla disinformazione, all'ambiente in cui viviamo: una società spaventata. Siccome l'essere umano ha un'innata paura dell'ignoto, per superare la paura stessa deve conoscere, e dare un nome alle cose è il primo passo per non averne paura. Ma poi accade che il nome diviene un'etichetta e l'etichetta porta uno stigma e lo stigma viene messo in disparte e isolato. Ciò che viene isolato fa nuovamente paura.

L'autismo è l'ignoto per le menti neurotipiche. 

La storia in breve, più o meno, è questa. 

C'era una volta un uomo che incontra altri simili e scopre che ci sono tante cose che lo accomunano a lui e tante altre che lo differenziano. Per evitare problemi di interazione, decide di tener conto solo delle cose che lo accomunano agli altri. Nascono altri uomini che vengono accolti e riconosciuti per le somiglianze di pensiero, di ragionamento e poi nascono altri uomini che pensano, ragionano e agiscono in modo diverso.

I primi uomini iniziano ad avere paura dei secondi e stabiliscono che le proprie menti sono neurotipiche e quelle altre invece diverse. La scienza va avanti nei secoli e si decide che la mente sana è quella neurotipica e quella diversa è neurodivergente o malata

Ecco perchè le persone autistiche, iperattive o dislessiche, per esempio, sono etichettate come neurodivergenti, perchè mettono in evidenza le cose che li differenziano dagli altri più che quelle che li accomunano. 

Senza dilungarmi troppo, perchè proprio quell'immagine per questo paper?

Escher, l'artista dell'assurdo e dell'ignoto, ci mostra due menti diverse. La mente neurotipica magari vede gli uccelli mentre la neurodivergente vede i pesci, o viceversa. 

Il senso del discorso è che siamo tutti diversi, da un punto di vista bio-psico-sociale. Nasciamo in luoghi diversi, da famiglie diverse, abbiamo storie diverse e se andassimo a vedere i nostri cervelli, in neuroimaging, vedremmo che seppure la struttura è la medesima, ed è la medesima anche nelle persone autistiche (i lobi sono quelli!)  avremmo qualche area più o meno sviluppato di un altro. Non esiste un cervello uguale a un altro. Anche da un punto di vista neuronale, parliamo di neuroni, sinapsi, non c'è un cervello uguale ad un altro. 

Esistono persone a livello sociale più consapevoli di sè stesse, altre meno; a livello caratteriale più timide altre meno. Abbiamo persino paure diverse, abbiamo gusti diversi. 

La stessa parola Tipico è una parola soggettiva, ciò che è tipico per me, non è necessariamente tipico per te. Per esempio, per me è tipico andare al cinema con gli amici il sabato. Per te magari è tipico andare in discoteca; per te è tipico andare la domenica a pranzo dai tuoi genitori, per me è tipico restare a casa ed isolarmi dal mondo. Per te è tipico trascorrere l'estate nella movida di Mykonos, io preferisco il mare del Gargano. Tipico non è una parola OGGETTIVA. pertanto non può indicare qualcosa di standard. 

Inoltre l'autismo non è un deficit che si impone sul funzionamento cerebrale, è un funzionamento cerebrale. Un esempio più semplice che potrebbe aiutarci a capire è il ragionamento per leggere una parola. Questo infatti varia da persona a persona. Per esempio però, le persone, di solito etichettate con l'acronimo DSA (e qui si aprirà a breve un altro paper proinformazione No-all'ignoranza), quando leggono la parola CASA iniziano dalla C ( a questo punto la mente associa la C a varie parole conosciute come CANE, CAVOLO, COLMO, CUBO, CERA, CIELO) + A (la mente abbandona alcune parole precedentemente associate ma ne associa altre  CANE, CAVOLO,CAPPELLO,CASA,CASTAGNA) + S (La mente ne elimina altre e ne compaiono di nuove CASA, CASTAGNA, CASO, CASTO, CASSETTO) + A (a questo punto scompaiono tutte le parole e la mente associa solo la parola CASA). "CASA!" esclama il bambino con una certa soddisfazione e una certa dose di fatica, le goccioline di sudore che gli ricadono sul viso e il desiderio di sentirsi lodato dalla maestra, la quale però si arrabbia "ti ho detto di leggere per sillaba: CA+SA= CASA. Tu non mi ascolti!"

La mente autistica reagisce più o meno così. 

La persona autistica è obbligata a far parte di una società che la convince del fatto che il suo modo di pensare, agire, comunicare sia sbagliato perché non è lo stesso modo in cui la società ha stabilito che si debba fare. Quando due menti neurotipiche si trovano a interagire con una persona autistica, si guardano negli occhi cercando il supporto l'un l'altro, parlandosi telepaticamente e dicendosi "com'è difficile interagire con questa, non capisce, non mi ascolta, ma come devo fare!" La persona autistica sta pensando la stessa cosa, ma è sola, non ha nessuno che la comprenda, non ha altri occhi cui chiedere aiuto, supporto e sostegno, ha solo sé stessa e la comunicazione pertanto si complica. Perché provare a comunicare con qualcuno che non ti capirà mai, non ti ascolterà mai, non comprenderà mai un tuo bisogno. Perchè parlare con qualcuno che ti vuole rendere uguale a lei a costo di ogni tuo sacrificio. Perchè dovrei perdere tempo a parlare con un neurotipico, un sano, uno normale, dato che io sono malata? 

Perchè dobbiamo far pensare che la differenza rende malati, siamo tutti diversi: o siamo tutti sani o tutti malati. Dovremmo invece conoscerci ed accettarci per le nostre differenze!

Vi lascio ad una prima riflessione. Ci vediamo presto per la seconda parte del PaperProInformazione. #AuthisticAmazingMind. #IlTuoRiflessoFG #Autismo