NON SEI SOL*
Lost Girl (parte I)
Cari lettori, amici.
ho deciso di scrivervi una lettera in una giornata triste ed uggiosa di febbraio.
Sono giorni un po’ particolari questi per me.
Oggi, un anno fa, mi sono concessa un non piccolo errore che ancora mi perseguita. E forse anche i vostri errori vi perseguitano talvolta. Credo che il blog debba servire proprio a questo. Credo sia uno strumento di comunicazione per raggiungere chi silenziosamente grida “aiuto!” o chi lo urla ma non viene ascoltato.
Il mio blog è uno strumento professionale, ma non dimenticate che dietro allo psicologo c'è una persona molto simile a voi. Con il proprio vissuto, la propria esperienza, i propri traumi e la propria percezione di smarrimento.
Una sensazione che accomuna tutti, no? Ebbene quando ci si sente smarriti, per esempio in un labirinto, si ha il desiderio di essere guidati fuori dallo stesso, no? Ho riscontrato la mia bussola per uscire dal labirinto nella psicoterapeuta che mi segue.
Sono una psicologa in terapia. Suona male? Eppure non fatevi ingannare, perché la mia terapia giova anche voi. Ascoltare le esperienze altrui fa venire voglia di essere ascoltati. Ognuno di noi, a un certo punto, ha bisogno di essere ascoltato da qualcuno che lo accetti per ciò che è, con tutte le sue sfaccettature e i propri alter ego (o avatar), perché state certi che tutti abbiamo almeno un alter ego.
Io sono una psicologa, e come tale guido, oriento chi mi chiede aiuto, verso una strada che stesso l’interessato decide di spianare.
Lo psicologo è una professione, ma spesso non si hanno le idee chiare sulla sua origine. Il fatto è che se ne dicono di cotte e di crude, c’è chi pensa che siamo maghi e streghe, che leggiamo nel pensiero, che vi sottraiamo dal vostro giustissimo libero arbitrio, e questo è colpa per lo più di ciò che passa in convento. Non è una parola a caso. Anche in quei luoghi, infatti, si ha un visione distorta dello psicologo ed io spero vivamente voi conosciate la differenza tra confessore e psicologo. Noi non promettiamo nulla, la vita eterna la lasciamo ad altri, non facciamo miracoli, né magie.
Lo psicologo aiuta ad orientare chi si è perso. È una bussola. Ciò implica che è il paziente /il cliente /l’interessato, che deve camminare.
Come in ogni fiaba, potremmo dire nella nostra vita, capita di perdersi nel bosco e di non trovare un’uscita. Be’ lo psicologo è il muschio sugli alberi che ti indica dov’è il nord, ma sei tu che devi scegliere di seguire quella strada, puoi tornare indietro quando vuoi.
Lo psicologo è la stella del mattino che guida il marinaio, ma guida anche il pirata o il capitano di una nave, quando l’imbarcazione è persa nell’oceano e inizia a fare acqua.
Lo psicologo è la bussola che ti indica la strada che tu puoi, se vuoi, percorrere.
Ma più di tutto lo psicologo è una persona, con la sua storia, le sue fragilità, i suoi traumi e le sue strade interrotte e con i suoi treni persi. È una ragazza impaurita, un giovane narciso che nasconde le proprie fragilità, è un bambino abbandonato, ed è per questo che è la persona adatta per orientarvi, lui ha esperito sofferenze simili alle vostre o forse ancora le vive. (To be continued)
FG
Se solo a 13 anni avessi avuto un Panda Rosso dentro di me
L'adolescenza è un periodo molto difficile in cui la vita richiede di saper gestire ogni esperienza e in cui i giovani si sentono spesso fuori luogo.
Non sono mai stata simile a Meilin Lee, la protagonista di Turning red, sprintosa, simpatica e piena di amiche. Ero piuttosto chiusa solitaria e sognatrice. Preferivo immaginare nuovi mondi e amori impossibili e… bé quello continuo a farlo… e non parlavo quasi mai.
Di certo come lei mi piaceva ballare, cantare, ascoltare musica e mi piacevano i ragazzi. Ero un’adolescente piuttosto normale ma meno irrequieta. Diciamo che reprimevo molto della mia salutare irrequietezza.
Nella vita di Meilin c’è una costante, quel qualcosa che la rasserena e l’aiuta nella avversità: le sue amichette. Le basta pensare a loro per domare il suo panda rosso. La mia costante, dal 96 in poi, è sempre Nek. La sua musica era, ed è la mia certezza. D’altronde non sarà certo un caso se mi invaghivo di ragazzini con capelli corti e scuri tirati su da quintali di gel. Ricordo che mio padre associava i capelli di Nek all’erba dei prati ridacchiando pensando che invece di andare dal barbiere, Nek andasse dal giardiniere e tagliasse i capelli con il taglia erba. Mio padre era un tipo simpatico con la battuta sempre pronta. Non sono come lui: a me le battute vengono in mente sempre troppo tardi e fuori discorso non fanno nemmeno più ridere. Gli occhi di Nek nessuno potrà mai superarli, azzurro ghiaccio, splendidi. Ma devo dire che anche gli occhi scuri non mi dispiacciono. Ma più di tutto non poteva mancare ai ragazzini che mi piacevano, l'anellino all’orecchio. Quanto impazzivo quando vedevo un orecchino ad anello argentato all’orecchio di un ragazzo con i capelli scuri a spazzola. Ma non avendo un panda da esternare non mi avvicinavo nemmeno al ragazzino in questione, anzi molte volte non ammettevo nemmeno a me, quanto mi piacesse, reprimendo quindi le sane emozioni. Preferivo però ascoltare i racconti di amori impossibili delle mie compagne di gioco e ridere con loro della mia totale mancanza di ormoni. Non ammettendo mi piacessero i ragazzi infatti ero sempre la strana della situazione e gli “amici” ridevano di me. E quando capitava la domanda tra compagne di giochi “ma a te chi piace?” la mia risposta era “nessuno!”
Un giorno poi divenne complicato tenere nascosto il mio affetto per un ragazzo. Era più grande di me ed io ero troppo piccola, per piacere ai ragazzi che in quell’età si credono già adulti. Ricordo che trascorrevo molto tempo con i suoi simpatici genitori, nonostante il fatto che la sorella mi fosse totalmente antipatica, al solo scopo di essere vista da lui. Ma ciò non accadeva. (ecco un’altra costante della mia vita: l’esser non vista, nè accettata, riconosciuta, né soprattutto scoperta!)
Ricordo un’estate.
Le compagne di ombrellone poco più grandi di me, con cui giocavo sulla spiaggia, erano tutte cotte di un ragazzo che per me non era interessante. Ed io pensavo “come è possibile essere attratti da uno così quando c’è lui!” il mio dirimpettaio di ombrellone bello simpatico con gli occhi scuri, i capelli scuri a spazzola, l’orecchino ad anello e quel costume arancione che faceva risaltare il suo corpo abbronzato. Lo guardavo senza farmi notare, né da lui né dalle mie compagne di gioco. Sua sorella era più grande di me… e anche oserei dire altro, ma in questa sede diremo più “cattivella” delle altre: mi sembra il termine adeguato, oggi, per spiegare ciò che provai all’epoca.
Ricordo che un giorno lui si fidanzò con una ragazza più grande. Era più grande di tutti, anche di lui. Fidanzarsi con una ragazza più grande è sempre stato un’occasione più unica che rara per i maschietti. Inoltre le piaceva tanto, io la odiavo: sapevo che lo avrebbe fatto soffrire.
Ma la "simpaticona", per non dire altro, ci voleva solo giocare.
E soprattutto, dall’alto della sua età, riuscì in poco tempo a capire che alla piccolina del gruppo, la più derisa piacevano due persone: Nek e lui.
Nek piaceva anche a lei, ed anche lui. E probabilmente aveva fatto la stessa mia associazione: la somiglianza tra i due.
Così un giorno si avvicinò al tavolo al quale ero seduta con alcune amichette e si sedette con delle sue amiche. Si sedette molto vicino a me e iniziarono a parlare di ragazzi. Quando fu il suo turno si voltò verso di me, ricordo ancora gli occhi pieni di cattiveria mentre pronunciava le parole di una canzone di Nek, descrivendo la serata trascorsa insieme al ragazzino dal costume arancione.
Maledetta! Per anni non sono riuscita a sentire quella bellissima canzone: Miami ( da l’album La Vita è. Sarà un caso?). Descrisse quindi il momento in cui lei e il ragazzo si abbracciarono per la prima volta: “la mano calda che mi tocca e la sua bocca poggiata sulla mia”.
Mi innervosii tantissimo, ma non sapendo gestire quella situazione, la vidi sogghignare guardandomi, mi alzai e andai via. Probabilmente fu in quel momento che iniziò a raccontare che a me piaceva il ragazzino abbronzato perché dopo poco la situazione degenerò. La voce raggiunse sua sorella che un giorno, per farmi un dispetto, lo spifferò al fratello. La cattiveria in persona: si erano proprio trovate quelle due. La relazione, durò poco, ma ormai tutti sapevano.
Ed io ero presente quando la sorella gli passò la notizia, eravamo in acqua: mi guardò schifato dalla confessione, probabilmente gli facevo pietà, rise di me con gli amici ed io, delusa, triste e piena di vergogna sapevo che non lo avrei più guardato in faccia.
Ma tornando ora a quel giorno se avessi avuto un Panda Rosso in me, avrei detto qualcosa così:
“E allora?? Si mi piaci, ma perché non ti guardi mai allo specchio? Ti piaceresti anche tu! Sei bello, abbronzato, capelli a spazzola e orecchino! Sono una ragazza, un’adolescente, ho gli ormoni attivi e nessuna esperienza del genere. Per me somigli a Nek e questo ai miei occhi ti rende bellissimo, ma potrei sbagliarmi e, un giorno accorgermi, di quanto tu sia realmente inguardabile, e che probabilmente sono solo gli ormoni a farmi vedere la tua bellezza. Ma fino ad allora si, mi dispiace tu la prenda male ma si, mi piaci. Non c’è nulla di male né di sbagliato!”
Oh, quanto avrei voluto un Panda Rosso in me!
FG
Ma l'attacco di panico può avere sintomi simili a quelli influenzali???
C'è tanta teoria attorno ad un attacco di panico.
Vi sono tecniche razionalmente infallibili per bloccarlo, ma nessuno, può spiegare ciò che realmente accade se non lo sperimenta almeno una volta nella vita.
L’attacco di panico è una percezione soggettiva, in cui l’individuo inizia a respirare male, respira, o tenta di respirare velocemente per incanalare ossigeno e tenta disperatamente di allontanare quella paura improvvisa di morire.
L’individuo si sente affannare, si sente strozzare. La sensazione è quella di voler scappare, ma non si può. C’è qualcosa che trattiene, una voce sconosciuta o che si pensa sia sconosciuta.
Solitamente poi l’attacco di panico arriva quando sei sola, o comunque quando si ha la sensazione di solitudine. Ma spesso capita anche in compagnia altrui. E lì, invece di soffermarsi sul sé, si pensa a cosa fare per non spaventare il compagno, la compagna, l’amico o il parente.
Il desiderio è quello di fare passare,bloccare la crisi. Ma in realtà la cosa più importante da fare è accoglierla, accettarla, sicuri del fatto che non si possa morire in questa occasione.
AVVERTENZE: è sconsigliato, se non addirittura vietato pensare al bene altrui, è sconsigliato fare autoterapia, in assenza soprattutto di strumenti o formazione valida.
Cosa senti?
Male!
Che male, dove? Perché? A che stai pensando?
È difficile restare nella crisi ed accoglierla quando il dolore è grande, quando si è rannicchiati in posizione fetale, chiusi in sé stessi.
Ma piano piano, in risposta alle domande, affiora un debole flash, che fa male...Poi due…o addirittura 3. Sembrano ricordi diversi ma in realtà hanno un unico comune denominatore.
Nel mio caso ad esempio, due flash erano ambientati alla scuola che frequentavo da piccola: ho rivisto la direzione, in cui entravi se facevi qualcosa di sbagliato, che nel mio caso era non fare i compiti, e te ne uscivi da lì con un orecchio più grande dell’altro, poiché questo veniva tirato per punizione, in modo aggressivo e violento; te ne uscivi da lì inoltre con una schifosa caramella zuccherina come contentino, come a segnalare che la stessa persona che ti aveva aggredito, ti voleva bene.
Il secondo flash, ambientato lì, aveva a che fare con un ricordo doloroso, un momento gratuito di bullismo da parte dell’insegnante, proseguito con risate generali da parte dei compagni. Quello che avevo fatto per meritarmelo? Ero andata in disparte a fidarmi di lei, mostrando tutta la mia insicurezza, ed ero stata ripagata in quel modo ben poco ortodosso. Ma ad oggi credo sia normale se i bambini vengono cresciuti da persone non professioniste, queste cose potranno sempre accadere.
L’ultimo flash mi vedeva davanti ad un armadio da svuotare e da smontare mentre dicevo addio con dolore all’ultima relazione in cui, catturata da una mente disturbata e manipolativa, pensavo davvero che fossi io la causa di una relazione finita male.
Mi sentivo sola, abbandonata, allontanata.
In ogni flash il denominatore comune era l’abbandono, la solitudine, il dolore.
Cosa si fa in questi casi?
La teoria, che dice la teoria? PENSA A MOMENTI FELICI
Perché il pensiero felice rilassa la mente e il respiro si allunga, il battito torna a ritmare l’organismo.
Ok…pensieri felici.
Attenzione però, i pensieri felici non devono essere collegati a pensieri tristi o dolorosi, se pensi a tua nonna per esempio, o a quell’amico d’infanzia e poi pensi al fatto che quel tempo non tornerà più, potresti stare anche peggio.
Quindi il momento felice da ricordare deve essere associato SOLO ad altri momenti felici.
Hai fotografie che ti fanno stare bene? GUARDALE.
Ok, le guardo, ma il cuore ancora non si ferma, il respiro è corto e affannato.
Che altro dice la teoria? ASCOLTA LA MUSICA
Ok, allora prendi il telefono e fai cantare i tuoi artisti preferiti.
Nel mio caso Nek, la costante della mia vita.
E piano piano il respiro diviene lento, pacato, leggero. Un paio di volte la tua mente potrà tornare sui pensieri infelici, ma se ti concentri su quelli belli ne vieni fuori in poco tempo. Puoi riprendere a respirare in modo ritmato, a tempo di musica, di quella musica che ti ha allontanato dal pensiero negativo, da quella sensazione di angoscia persistente.
È una sensazione orribile, una sensazione che ti fa venire in mente che hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a vederti dentro, perché questi attacchi non capitino più.
Gli attacchi di panico sono espressione di ciò che nascondi, reprimi in te. Ciò che hai chiuso in te, vuole uscire; c’è qualcosa che vuol essere liberato per farti vivere serenamente.
Ma quanto è difficile buttare tutto fuori, in modo funzionale. Hai bisogno di qualcuno che ti guidi.
Quando soffriamo, reprimiamo quel dolore perché è più semplice chiuderlo che elaborarlo, ma poi arriva un momento in cui è il dolore stesso a chiederti di uscire. E allora da soli non si può c’è bisogno di qualcuno che ci aiuti, accogliendoci senza giudizi.
Un professionista, uno psicoterapeuta, forse meglio qualcuno che ha sperimentato il male che ti porti addosso, perché sicuramente potrà capirti meglio di qualsiasi altro professionista che ha imparato solo la teoria, che porrà l’elaborazione sulla razionalità, quando invece in un attacco di panico la razionalità non ha luogo.
È tutta una questione emotiva, che ha sede nel luogo più nascosto del nostro organismo.
Soffri di attacchi di panico?
Lascia che ti aiuti…. Prenota un colloquio conoscitivo, vis a vis (zona Vomero) o online sulla piattaforma Google meet.
Ti aspetto!